“Oggi lavoro da casa!”
Questo messaggio per la maggior parte degli italiani vale spesso come una conquista; un qualcosa da sbandierare con fierezza, un privilegio acquisito con fatica e fedeltà verso il proprio lavoro o meglio datore di lavoro.
Ma è davvero così?
Qualche mese fa pubblicavo su Linkedin un post nel quale mi chiedevo se lo smart working fosse una questione di qualità del lavoro o semplicemente di fiducia. Riducendo l’argomento ad un post di poche parole pensavo non ci fosse molto di più da approfondire ma mi sono reso conto che non potevo essere più in torto.
Negli ultimi anni si è parlato con sempre più frequenza di lavoro agile. Sono i dipendenti che, in primis, nei sondaggi di gradimento interni alle aziende lo chiedono a gran voce, invocando con un po’ di confusione le parole smart working e telelavoro.
Ma di cosa stiamo parlando? Quali sono le differenze?
Poniamo l’accento su cosa sia il telelavoro, che non racchiude al suo interno nulla di “innovativo”, rappresentando perlopiù un semplice spostamento della sede di lavoro:
- Lo stesso identico compito da svolgere.
- Gli stessi orari previsti dal proprio contratto.
- La possibilità però di essere svolto da remoto e quindi non vincolati al classico binomio all’italiana lavoro/ufficio.
Lo smartworking invece è qualcosa di completamente diverso ed è previsto dal 2017 in Italia con la legge legge n. 81/2017, grazie ad una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro. Una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.
Ma in realtà, anche se previsto da normativa, in Italia il processo di penetrazione dello smartworking è ancora molto poco diffuso. Spesso viene “concesso” come un welfare aziendale ma in realtà dovrebbe essere percepito e apprezzato in maniera molto più profonda come un nuovo paradigma imprenditoriale, un nuovo modo di concepire il lavoro e un nuovo rapporto tra imprenditore e dipendente.
Il lavoro agile però non può essere improvvisato e per essere funzionale e vantaggioso si deve basare su 4 pillar:
- Una Revisione della cultura organizzativa e degli stili manageriali che implicano il passaggio ad una definizione del lavoro per obiettivi e non più su ore lavorate. Di conseguenza implica una revisione del rapporto fra il manager e il dipendente che lavora in Smart Working: si deve cioè passare dal controllo (tipico del lavoro in ufficio) alla fiducia.
- Un nuovo approccio alla flessibilità di orari e luoghi di lavoro: Il secondo aspetto, collegato al precedente, riguarda la definizione di policy che garantiscano una certa flessibilità rispetto all’orario e al luogo di lavoro.
- Il terzo pilastro fondamentale riguarda la dotazione tecnologica che deve supportare e valorizzare le forme di flessibilità possibili: attraverso il cloud, i device portatili e tutti gli strumenti che supportano la collaborazione. La scrivania così diventa sempre più semplice e non limitativa rispetto allo scambio fisico tra persone.
- L’ultimo punto riguarda infine gli spazi fisici che devono evolversi per supportare le differenti esigenze delle persone quando si recano in ufficio con ambienti più smart, meno personalizzabili ma più accessibili e immediati.
Una revisione che mette al centro dell’organizzazione la persona con lo scopo di far convergere i suoi obiettivi personali e professionali con quelli dell’azienda e aumentarne la produttività (che tuttavia non è il tema di questo breve spunto e che meriterebbe un approfondimento ad hoc).
Nel 2022, il 65% della forza lavoro europea, e quindi 123 milioni di individui, sarà composta da mobile worker. In Italia i professionisti che opereranno in mobilità saranno 10 milioni. Per accogliere questo nuovo modello organizzativo occorre partire però dalla formazione manageriale, perchè sono i dirigenti a determinare l’approccio lavorativo all’interno dell’azienda con una spinta al cambiamento proveniente dal top management, spesso il primo a non conoscere le potenzialità del lavoro agile.
Digitalizzazione e Smart Working creano un connubio che permette al datore di lavoro di gestire, raccogliere e analizzare dati relativi alla qualità del lavoro dei propri dipendenti per poter intervenire e modificare, ogni qual volta ritenuto necessario. Un approccio di Analisi > Elaborazione > Intervento che le aziende di consulenza da anni applicano ai progetti strategici per i propri clienti con grande successo.
Spesso però è consuetudine vedere il ciabattino con le scarpe rotte.